Riportiamo qui fedelmente la descrizione dell’azione militare dei nazifascisti sul Grappa, come apparsa in un libretto pubblicato dal comune di Bassano del Grappa per il 50° anniversario dell'”Eccidio del Grappa”.
“Il comando nazifascista, intanto, predisponeva con tutta calma e, occorre dirlo, con oculatezza, la sua azione. Nei giorni del 18 e 19 settembre, impiegando le forze fasciste (“Brigate Nere” di Treviso e Vicenza, battaglione “Tagliamento” ed altri reparti) tutto il Massiccio del Grappa, sia a nord che a sud, sia lungo la valle del Brenta che quella del Piave, venne completamente circondato da un anello di “posti di sbarramento”, armati di mitragliatrici e collocati sulle strade pedemontane, ad un centinaio di metri l’uno dall’altro; dopo di che vennero fatte avvicinare alla base di partenza, lungo tutto il perimetro della montagna, le truppe destinate all’azione di attacco.
Questa ebbe inizio la mattina del 20 settembre, alla conca di Alano, contro le posizioni tenute dalla “Matteotti” e dalla “Italia Libera Archeson”; caduto il caposaldo partigiano di M. Madal, le truppe tedesche avanzarono verso l’Archeson, ma furono fermati dagli uomini della “Matteotti”; altri reparti nemici, però, provenienti da Possagno e Cavaso, riuscivano ad attestarsi sulle posizione vicine.
L’attacco concentrico e massiccio di tutte le forze nazifasciste contro il Grappa venne sferrato il mattino del 21 settembre; le varie colonne, appoggiate da un intenso fuoco di artiglieria e sparando in continuazione con tutte le armi, si inerpicarono su per le strade e le molte mulattiere che percorrono la montagna in tutti i sensi; la resistenza partigiana, considerate la limitatezza delle forze e la enorme penuria delle munizioni, fu dappertutto notevole, ma non poteva che protrarsi per poche ore, anche perchè, in molti casi, i tedeschi, risalendo i fianchi del monte, si spingevano davanti gruppi di vecchi, donne e bambini, rastrellati nei paesi e che, terrorizzati, urlavano ai partigiani di non sparare.
Ad uno ad uno i capisaldi partigiani vennero sommersi; molti combattenti caddero con le armi in pugno, altri vennero catturati ed uccisi in modo barbaro (alcuni vennero arsi vivi), altri riuscirono a fuggire alla cattura ed a buttarsi verso la pianura, ma incapparono quasi tutti nei posti di blocco che irretivano tutte le strade.
Lo stesso Comando Unico dovette pensare alla propria salvezza e dare alle brigate, verso le ore 13 del 21, il “Si salvi chi può”.
Della brigata “Italia Libera Campo Croce”, un nucleo di valorosi continuò a resistere sul Monte Cornosega fin verso le 17, quando già il comando della brigata era stato occupato dei tedeschi, dopo di che riuscì a filtrare indenne, con le proprie armi, attraverso la rete dei posti di blocco ed a salvarsi in pianura.
L’unico reparto che continuò a combattere anche dopo che ogni altra resistenza era cessata, fu il battaglione “Buozzi”, il quale, ridotto a 18 uomini comandati dal Ten. Livio Morello (cui fu conferita la Medaglia d’Onore al V.M.) si sostenne sul massiccio del Grappa, invano braccato dai tedeschi, fino al 12 ottobre.
La ferocia nemica cominciò allora a dispiegarsi in tutta la sua crudezza: in tutti i paesi della pedemontana del Grappa, decine e decine di partigiani vennero impiccati o fucilati; in parecchi casi, gli aguzzini tedeschi e fascisti, costrinsero i genitori ad assistere all’impiccagione dei figli.
Il colmo dell’orrore venne raggiunto però a Bassano del Grappa il 26 settembre 1944, giorno in cui, agli alberi che ornano i viali di quella ridente città, vennero impiccati 31 partigiani, mentre altri 17 vennero fucilati dietro il muro della caserma degli alpini.”
La terrificante testimonianza di un prof. del liceo cittadino
A corollario delle ultime righe dell’estratto precedente, riportiamo le parole del prof. Antonio Zuccato, insegnante del Liceo G.B. Brocchi, come annotate nel suo diario:
“L’autocarro si ferma dietro il Caffè Italia, dove il primo albero di via XX Settembre è pronto per un giovane bruno che, sollevandosi, grida con slancio “Viva l’Italia” ed appresta il collo al capestro. La commozione mia e di qualche raro borghese, che da lontano spia la scena, è grandissima: un vecchio contadino che passa si leva il cappello, si appoggia al muro del caffè, quasi si sentisse mancare, piange come un bambino, e lamenta ad alta voce la bella giovinezza stroncata.
Un altro eroico giovane, figura bionda e ricciuta, […] che si accinge ad alta fronte alla morte, è Giovanni Cocco. Nel centro del Viale, sereno, in piedi sul carro, guardando intorno gli armati e i compagni, attende che il boia e il suo aiutante preparino il laccio su di un lampione. I preparativi durano qualche minuto ed egli assiste impassibile, come la cosa non lo interessasse affatto. E quando tutto è pronto, fa un passo avanti e grida con voce sonora: “Evviva Dio! Evviva l’Italia!”. AL che uno dei giovani fascisti, che stavano attorno, in dialetto romanesco grida “Non lo vogliamo sentire dalla tua bocca l’Evviva all’Italia”. Ed il morente, quando il laccio era già attorno al collo ed il carro stava per allontanarsi, ha ancora la forza di gridare di nuovo: “Evviva l’Italia!”. Il nodo scorsoio è messo al collo rovescio. Ed il Cocco resiste più di quaranta secondi alla vita, ed è significativo che rimanga con la fronte rivolta al Cielo.
I giovani intorno fanno gazzarra con al sigaretta in bocca, sghignazzano, beffeggiano, irridono i morenti, non hanno nemmeno il pudore di fare silenzio davanti allo spettacolo grave di chi muore per un’idea, e allora io compresi ancor più quale baratro di odio si era aperto tra Italiani e Italiani ed ho pianto nel considerare in qual tragica condizione eravamo ormai ridotti, spento ogni sentimento fraterno, di solidarietà nazionale, di umanità.
Più di venti ore rimasero sospesi quei corpi, ondeggianti alla brezza autunnale, macabro spettacolo, non ammissibile neppure nelle colonie, di fronte al Monte Grappa, sacro all’amore e al dolore della Patria[…].
E si disse che questi “banditi” avevano gridato “Evviva gli Inglesi e abbasso il Fascio” per scusare nell’opinione pubblica lo scempio infame. No! Questi nostri cari “banditi” dettero un nobilissimo esempio di elevato amor di Patria, ed alto emisero, ed io lo ho ben sentito, il grido di “Viva Dio” e “Viva l’Italia”.
Oh, inesorabile inciviltà dei tempi civili, che ha scatenato questo cataclisma, che ha macinato popoli e polverizzato città con crolli di intere metropoli e tragici esodi di milioni di profughi, sbattuti, tra la fame e le bombe, da un paese all’altro, prima, dopo e oltre la battaglia! Ma il dover vedere in pieno secolo ventesimo, nell’immenso nitore del cielo settembrino, davanti allo stupendo panorama dei monti sacri, i nostri giovani ardenti penzolare impiccati dagli alberi nelle più belle vie della gentile Bassano e per opera non tanto di nemici, che si spacciavano alleati, ma per opera degli italiani stessi, non più fratelli, è stata una cosa orribile […]”
Gli articoli collegati:
Parte 1- Introduzione e contesto europeo nel ’43-’44
Parte 2- La situazione nel bassanese
Parte 3- Le forze nazifasciste in gioco
Parte 4- I giorni precedenti il rastrellamento
Parte 5- L’azione militare nazifascista sul Grappa
Parte 6- La testimonianza di Don Odone Nicolini
Parte 7- Il silenzio, le immagini, la memoria
Articolo di Samuele Guizzon
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