Italia sommersa entro il 2100?

Da Venezia a Napoli 21 porti rischiano di “annegare” entro il 2100 per l’innalzamento dei livelli del mare a causa dei mutamenti climatici in corso. Secondo le proiezioni, entro il 2100 il livello del mare sarà più alto di oltre un metro: 5.600 km quadrati e più di 385 km di costa italiana rischiano di essere sommersi dal mare in assenza di interventi di mitigazione e adattamento. A lanciare questo allarme già nel Febbraio 2019 è stata l’Enea, che presentò i dati a Roma nel corso di un convegno sul Mediterraneo e l’economia del mare organizzato insieme a Confcommercio per la firma di un protocollo d’intesa sullo sviluppo sostenibile.

Il fenomeno dell’innalzamento accoglie tutte le regioni italiane bagnate dal mare, per un totale di 40 aree costiere a rischio inondazione. In particolare, nella mappa diffusa dall’Enea con Confcommercio sugli effetti dell’innalzamento del Mediterraneo, emerge che a rischio è principalmente una vasta area nord adriatica tra Trieste, Venezia e Ravenna; la foce del Pescara, del Sangro e del Tronto in Abruzzo; l’area di Lesina (Foggia) e di Taranto in Puglia; La Spezia in Liguria, tratti della Versilia, Cecina, Follonica, Piombino, Marina di Campo sull’Isola d’Elba e le aree di Grosseto e di Albinia in Toscana. Andando al Centro-Sud, ad essere minacciate sono la piana Pontina, di Fondi e la foce del Tevere nel Lazio; la piana del Volturno e del Sele in Campania; l’area di Cagliari, Oristano, Fertilia, Orosei, Colostrai (Muravera) e di Nodigheddu, Pilo, Platamona e Valledoria (Sassari), di Porto Pollo e di Lido del Sole (Olbia) in Sardegna; Metaponto in Basilicata; Granelli (Siracusa), Noto (Siracusa), Pantano Logarini (Ragusa) e le aree di Trapani e Marsala in Sicilia; Gioia Tauro (Reggio Calabria) e Santa Eufemia (Catanzaro) in Calabria.

Immagine da Google Earth

Enea ha mappato alcune di queste aree: sommando la superficie delle 15 zone costiere si ottiene un’estensione totale a rischio inondazione di 5.686,4 chilometri quadrati, pari a una regione come la Liguria.

Mare, però, non vuol dire solo spiagge, significa anche attività economica; mare vuol dire porti. L’innalzamento delle acque marine nei principali porti nel 2100 è stimato intorno a un metro. I picchi rilevati dalle proiezioni sono: Venezia (+ 1,064 metri), Napoli (+ 1,040 m), Cagliari (+1,033 m), Palermo (+ 1,028 m.) e Brindisi (+ 1,028 m.).

Il rischio, come detto, è innanzitutto per porti e spiagge, senza contare situazioni specifiche come quella di Venezia.

Immagine da: Convegno Enea-Confcommercio

“I nostri porti sono stati progettati a inizio 900 e non sono più adatti”, avverte Luigi Merlo, presidente di Federlogistica-Conftrasporto, “anche il Mose è stato progettato senza tenere conto dei mutamenti climatici. Cosa succederà? L’opera ha comportato un investimento significativo ma ad oggi non sappiamo se sarà in grado di dare risposte a questi fenomeni”. Intanto i porti già devono affrontare le conseguenze delle mutate condizioni del Mediterraneo causate dal riscaldamento globale.

“Gli sgrottamenti (cavità che si allargano, ndr) delle banchine sono in aumento, e così crollano a causa di onde più forti”, avverte Merlo, stesso motivo per il quale “serviranno anche più rimorchiatori, e più potenti, per far fronte alla situazione”. E allora, conclude il presidente di Federlogistica-Conftrasporto, “in un momento nel quale si parla molto di ‘costi-benefici’, cerchiamo di ragionare in termini di ‘costi-prevenzione’ per evitare malefici”. 

L’altro settore economico letteralmente in prima linea di fronte all’innalzamento dei mari e al riscaldamento globale, con il suo portato di mareggiate più distruttive, è quello delle attività dei balneari concessionari di spiagge demaniali. “Siamo consapevoli non di quello che accadrà ma di quello che sta accadendo”, dice Antonio Capacchione, presidente del Sindacato balneari Sib-Fipe-Confcommercio, “l’innalzamento dei mari e il cambiamento climatico non sono ipotesi scientifiche, ma un fatto”. Tra le zone più colpite oltre alle coste Italiane abbiamo anche la Cina sudorientale, i territori settentrionali dell’Australia, il Bangladesh, il Bengala occidentale e il Gujurat in India, gli Stati Uniti della Carolina del Nord, la Virginia e il Maryland e l’Europa nordoccidentale, compresi il Regno Unito, la Francia settentrionale e la Germania settentrionale. Di conseguenza, 287 milioni di persone, cioè il 4,1 per cento degli abitanti del pianeta, si vedono coinvolti ad affrontare questo problema da qui al 2100. In termini economici, l’impatto sarebbe altrettanto rilevante: le attività colpite potrebbero aumentare del 46 per cento, mettendo a rischio l’equivalente di 14.200 miliardi di dollari, cioè il 20 per cento del PIL globale.

Certezze legate alla famigerata direttiva Bolkestein che impone aste per le concessioni pubbliche, “e senza la certezza di rimanere, chi investirebbe centinaia di migliaia di euro?”, conclude il presidente del Sindacato balneari Sib-Fipe-Confcommercio. L’innalzamento del mare, al quale si somma l’ulteriore innalzamento da ‘Storm surge’ sempre causato dai mutamenti climatici, “può influire e non poco su tutte queste attività”, dice Federico Testa, presidente Enea, “dobbiamo prevedere e progettare in modo tale da riuscire ad anticipare i fenomeni che si possono verificare, mitigarli e non aspettare in maniera fatalistica”. L’adattamento, cioè le azioni complementari per fronteggiare gli effetti del riscaldamento globale, “si deve costruire, si può progettare in modo da difendere naturalmente dalle cose che cambiano”, dice Testa, “però servono consapevolezza e progettazione”.

Il Movimento Roosevelt è più attivo e attento che mai, e il “Dipartimento per l’Ambiente, la Rigenerazione Urbana e la Tutela del territorio e del mare”, cercherà di approfondire nel tempo gli argomenti inerenti le tematiche ambientali riportate nel programma generale del Movimento Roosevelt. Per fare ciò, il Dipartimento intende adottare il seguente metodo, per sviluppare un percorso che parta dall’origine del problema e arrivi alle possibili soluzioni.

Le fasi su cui cercheremo di sviluppare il ragionamento saranno le seguenti:

  1. Ricerca delle cause che hanno originato o ancora generano il problema (inquinamento specifico);
  2. Ricerca delle conseguenze che il problema ambientale ha originato, cercando di collegare i danni ambientali, ai danni prodotti alla biodiversità e alla popolazione umana;
  3. Ricerca delle possibili soluzioni disponibili, per rimediare al danno causato e a garantire un miglioramento per il futuro;
  4. Sviluppo di consapevolezza tra i cittadini appartenenti a tutti i livelli (ceti) socio-economici per diffondere i 3 principi sopra enunciati.

Le tematiche che il dipartimento tratterà prima di altre, saranno quelle più visibili agli occhi del cittadino comune. Cercheremo di proporre soluzioni alternative al modello industriale-agricolo e sociale attualmente adottato, per intraprendere un nuovo percorso o modificare quello attualmente in corso, per cercare di invertire l’attuale tendenza all’autodistruzione.

Articolo di Steve Celio

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