La città di Gradisca d’Isonzo è un comune di poco più di 6.000 abitanti, compreso nella lista dei cento borghi più belli d’Italia, situato sulla riva destra del fiume, a nemmeno un chilometro in linea d’aria dalle prime pendici del monte San Michele, nel comune di Sagrado, monte di cui abbiamo già parlato nel precedente racconto 1916. Questi racconti in realtà sono parti di un prossimo libro intitolato Così in Cielo, come in Terra.
San Michele, un nome che forse non è un caso, come tanti toponimi intitolati all’Arcangelo in tutta Europa, (Mont San Michel e San Michele al Gargano ne sono un esempio) ma questa è un’altra storia che ci porterebbe troppo in là, per il momento, e che forse affronteremo in futuro. Certo è che in questi luoghi s’incrociano varie culture, lingue e tradizioni, energie. È sempre stata zona di confine, dove si mescolano o si sono mescolate la cultura italiana con quella slava e germanica, la lingua italiana con, appunto, quella slovena e l’austriaca.
La pianura con la collina, il Carso calcareo con i sedimenti portati dall’Isonzo stesso e i suoi terrazzi alluvionali, e le colline arenarie. Giocoforza Gradisca nei secoli è stata un luogo fortificato, come dice anche il suo nome derivante dallo slavo gradisce, colonizzata attorno all’anno mille da alcune famiglie, appunto slave, fatte ivi insediare per ripopolare una zona oramai desolata e spopolata da epidemie e invasioni barbariche, come quella degli Ungari. Gradisca divenne nuovamente importante territorio di frontiera quando dopo il 1420 fu annessa alla Repubblica di Venezia assieme a gran parte dei territori del Patriarcato di Aquileia. Territorio questo conteso fin da subito con gli Imperiali, cioè gli Asburgo, allora arciduchi, che inglobarono i territori dei Conti di Gorizia alla morte dell’ultimo erede. Sul finire del quindicesimo secolo fu costruita un’imponente fortezza, volta ad arginare sia la penetrazione austriaca sia le pericolose incursioni turche. A contribuire al progetto della Fortezza arrivò nel 1500 anche Leonardo Da Vinci. Sono sorte leggende su posti segreti o codici nascosti, sulle forme esoteriche, creati dal genio in questi luoghi, ma, ovviamente, non è mai stato trovato nulla.
La fortezza
Dell’imponente bastione d’accesso alla città oramai non resta quasi niente, demolito all’inizio del ‘900 per far espandere il centro. Delle difese murarie resta la medioevale Porta Nuova, alcuni tratti di mura specialmente al lato del fiume e il castello, purtroppo in rovina e con restauri che si prolungano da decenni a causa della mancanza di fondi. Nel castello, adibito dagli Austriaci a prigione, vi fu rinchiuso brevemente anche Silvio Pellico, in transito per raggiungere lo Spielberg. Nell’urbanistica si nota la vocazione a fortezza, con strade molto larghe e parallele, atte a far scorrere agevolmente formazioni militari, collegate ad angolo retto da altre più strette, a parte quella finale con la chiesa di santa Maria Addolorata e la Loggia dei Mercanti, quasi altrettanto larga.
Nel 1511 durante la guerra della Lega di Cambrai, in cui Venezia in pratica si mise contro quasi tutta l’Europa, la fortezza, dopo un lungo assedio e grazie a una pestilenza che decimò i difensori, passò sotto il dominio del Sacro Romano Impero. Episodio curioso da cui in parte trova ispirazione il racconto. Fu Antonio Savorgnan da Udine, formalmente veneziano, ma in realtà in combutta con gli Imperiali, a convincere il comandante Alvise Mocenigo che ogni resistenza sarebbe stata vana.
La Pace di Worms del 1521 assegnò definitivamente Gradisca agli Austriaci.
In questo periodo fu profondamente ricostruito il castello all’interno della città, che assunse in parte la fisionomia attuale. Si ricordano i capitani Niccolò della Torre e Giacomo Attems che governarono efficacemente la fortezza. La costruzione della fortezza veneziana di Palmanova fu, anche se con ritardo, provocata proprio dalla perdita della fortezza gradiscana che fungeva da difesa dei confini orientali della Repubblica.
Nel 1615 scoppiò quella che venne ricordata come la Guerra di Gradisca, tra la Repubblica, che tentò di reimpossessarsi della fortezza e gli arciducali. È una guerra dimenticata, poiché precedette di pochissimo la Guerra dei Trent’Anni che mise a ferro e fuoco l’intera Europa. Il conflitto scoppiò a causa di contesti più ampi, che vide Venezia contrapposta all’Austria nella Dalmazia e nell’appoggio austriaco dato ai pirati Uscocchi che mettevano una seria minaccia allo sviluppo dei commerci della Serenissima. Dopo due anni di inutile assedio, alla vigilia dell’assalto finale, fu improvvisamente firmata la pace, e Gradisca rimase definitivamente inglobate nella sfera d’influenza del Sacro Romano Impero.
Dopo la Guerra dei Trent’anni
Alla fine della Guerra dei Trent’Anni Gradisca fu elevata a contea principesca sotto gli Eggenberg, già signori di possedimenti in Stiria, Carniola, Postumia (dove ci sarebbe una storia da raccontare sul leggendario Erasmo di Lueg e su appunto Castel Lueghi, ma è una storia che esula dai confini triveneti) e di Cesky Krumlov in Boemia, patrimonio dell’Unesco e sede, successivamente, della cosiddetta principessa vampira Eleonore von Shwarzenberg (ma anche questa è un’altra storia). Per settant’anni Gradisca fiorì ed ebbe un’importanza superiore alla stessa Gorizia. Fu uno stato semiautonomo. Nel 1754, dopo che la casata Eggenberg si fu estinta, fu definitivamente unita alla Contea di Gorizia. La sua importanza come fortezza decrebbe rapidamente. Ritornò agli allori della storia, anche se brevemente, nel 1797, quando fu assediata e conquistata del generale francese Bernadotte, che in seguito divenne Re di Svezia. Episodio a cui si ispira il racconto. Degni da visitare all’interno della cittadina sono il Palazzo Torriani, ora sede del Comune, la Loggia dei Mercanti, la Chiesa della santa Maria Addolorata, contemporanea alla costruzione della Fortezza, la sede dell’Enoteca Regionale e ovviamente quello che rimane delle mura, dei bastioni e del castello (almeno la parte che si può visitare)
Articolo di Roberto Hechich
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