8 novembre 1975.
Metà dell’intera flotta sovietica del Baltico fu improvvisamente messa in massima allerta. I loro ordini erano chiari e sconvolgenti: scovare e fermare, il cacciatorpediniere sovietico STOROZHEVOY, nave modernissima e vanto della marina sovietica, con qualsiasi mezzo necessario.
L’evento: il 58° anniversario della Rivoluzione d’ottobre
Ma facciamo un passo indietro: in Unione Sovietica il giorno prima si era celebrata la cerimonia per il 58° anniversario della Rivoluzione di Ottobre (che, ricordo, nel nostro calendario cade in novembre). Per unirsi ai festeggiamenti nella città di Riga, il cacciatorpediniere “Storozhevoy” si era trasferito dal suo porto di origine a un molo della città. La nave era stata aperta per le visite dei cittadini per tutto il giorno e circa la metà dell’equipaggio dello Storozhevoy, composto da 250 uomini, era stato autorizzato a prendere parte ai festeggiamenti per l’anniversario.
Lo Zampolit (ufficiale politico) dello Storozhevoy, un capitano di terzo grado (tenente comandante) di nome Valery Mikhaylovich Sablin, aveva però scelto di restare a bordo della nave con un certo numero di suoi colleghi ufficiali.
L’ufficiale politico, nell’Unione Sovietica, non aveva lo stesso rango del comandante della nave, ma gli era subordinato, tuttavia, aveva una catena di comando completamente separata all’interno della direzione politica militare.
L’ammutinamento dello Storozhevoy
Verso le 02:00 dell’8 novembre, la Storozhevoy lascerà gli ormeggi a Riga per cominciare ad attraversare il Golfo di Riga. Era in corso un ammutinamento, con il furto della nave ed un tentativo di fuga. Il Capitano e tutti coloro che rifiutarono di partecipare all’ammutinamento, furono rinchiusi.
Circa le motivazioni dell’ammutinamento, ci sono due versioni diverse: una sostiene che l’ammutinamento avvenne per protestare contro la leadership del PCUS, allora guidato da Leonid Il’ič Brežnev. Il suo scopo era quello di prendere la nave e dirigerla fuori dal Golfo di Riga, a Leningrado attraverso il fiume Neva, ormeggiare accanto alla nave museo Aurora, il vecchio incrociatore simbolo della rivoluzione russa, e trasmettere da lì un appello nazionale al popolo. In quel discorso intendeva rimarcare che il socialismo e la madrepatria erano in pericolo; che le autorità al potere erano corrotte, menzognere, e che stavano portando il paese nell’abisso; che a causa loro il comunismo era stato accantonato e che c’era bisogno di rianimare i principi leninisti di giustizia.
Un’altra versione (a parere di chi vi parla meno credibile) sostiene invece che gli ammutinati volevano chiedere asilo politico in Svezia.
Probabilmente non si saprà mai, effettivamente, quanti membri dell’equipaggio erano fedeli a Sablin e agli altri cospiratori. Si ipotizza che Sablin con un altro ufficiale di nome Markov e un fedele seguito di una dozzina di sottufficiali, furono in grado di ordinare al rimanente equipaggio ridotto di giovani marinai di 18 e 19 anni arruolati nelle rispettive stazioni con una falsa storia di un’emergenza nazionale.
Il marinaio lealista e l’incredulità prima dell’allarme
Non vi è certezza sul perché l’allarme sia scattato, cioè su cosa abbia convinto le autorità baltiche che era in corso un ammutinamento. Vi è un resoconto che un marinaio lealista, tuffatosi fuori bordo prima che la nave raggiungesse la foce del fiume, si sia prima aggrappato a una boa di segnalazione del canale per poi nuotare verso la riva occidentale del fiume e informare le autorità sovietiche dell’ammutinamento in corso. In realtà egli non fu subito creduto, e questo fatto diede circa due ore di vantaggio agli ammutinati. In realtà da principio il comando continuò ad essere incredulo, fino alla ricezione di un messaggio radio dalla nave in fuga, probabilmente da un altro lealista, di “ammutinamento a bordo”.
Nel frattempo, sapendo di non avere molto tempo, Sablin aveva scelto di lasciare Riga immediatamente sotto la copertura della notte. Il radar era spento in modo che non venisse rilevato il loro movimento.
La nave ammutinata, era in servizio da meno di 18 mesi, ed era una delle più avanzate dell’Unione Sovietica.
La nave era stata creata per attaccare i sottomarini nemici da 50 miglia di distanza, utilizzando razzi a corto raggio e missili a lungo raggio. Perdere la nave avrebbe potuto svelare preziosi segreti militari e sprecare qualsiasi vantaggio che la nuova e costosa nave aveva fornito fino ad allora.
Il brusco risveglio di Brežnev e l’ordine imperativo
Il premier Brežnev fu svegliato alle 4 del mattino, ed autorizzò l’uso di tutta la forza necessaria per impedire alla nave di fuggire.
Dal porto di Riga partiranno 11 barche veloci all’inseguimento. Decolleranno subito 38 aerei, ma entro la fine dell’inseguimento, un totale di 60 aerei da guerra saranno inviati, insieme a metà della flotta del Baltico.
La nave però incontrò una fitta nebbia, e nel tentativo di evitare un potenziale incidente, Sablin decise di accendere il radar.
A questo punto, grazie al segnale del radar della nave in fuga, gli inseguitori identificarono la posizione della nave.
I primi colpi furono sparati verso la prua e poi le bombe furono sganciate in un cerchio cercando ancora di evitare di danneggiare eccessivamente il cacciatorpediniere. Lo Storozhevoy non risponderà al fuoco, ma non è chiaro se per la mancanza degli uomini che gestivano le armi antiaeree, o perché l’equipaggio si decise di non farlo.
In ogni caso sia i fuggitivi che gli inseguitori erano nel caos: quando lo Storozhevoy iniziò delle manovre evasive per evitare di essere colpito, le forze inseguitrici colpiranno per errore un’altra nave gemella all’inseguimento, ed alla fine questa nave subirà molti più danni più danni dello Storozhevoy.
Gli attacchi furono fermati quando tutti gli inseguitori ricevettero un messaggio radio dal capitano che alle 10:32 che diceva di aver ripreso il controllo, e la nave fu abbordata.
La condanna a morte di Sablin e il destino dei cospiratori
Il destino dei cospiratori e del resto dell’equipaggio non è certo. In caso di ammutinamento è solitamente comminata la pena di morte.
Da quanto si sa, il processo a 15 degli ammutinati, tra cui Sablin, ebbe luogo nel maggio del 1976 davanti alla Divisione Militare della Corte Suprema dell’URSS.
Il capitano di terzo grado Sablin fu condannato a morte, e la sentenza fu eseguita da un plotone d’esecuzione subito dopo il processo di 3 giorni. Alla vigilia dell’esecuzione, al padre di Sablin fu concesso un incontro di venti minuti con suo figlio, alla presenza di un folto gruppo di funzionari del KGB. Anche la famiglia di Sablin non sfuggirà all’ira del regime sovietico. Uno dei suoi fratelli, che lavorava nello stato maggiore, fu trasferito nella Siberia orientale. Un altro, che era insegnante in un istituto di Mosca, fu trasferito a est, a Ivanovo.
Il secondo ufficiale ammutinato fu condannato a 15 anni in un campo di lavoro.
Il destino dei cospiratori arruolati è sconosciuto, ma alcune fonti parlano di un numero di giustiziati fino ad 82, anche se altre ritengono questo numero esagerato. Il resto dell’equipaggio fu congedato con disonore.
L’indagine di Gregory D. Young e il libro di Tom Clancy
Gregory D. Young fu il primo occidentale a indagare sull’ammutinamento come parte della sua tesi di laurea del 1982 “Mutiny on Storozhevoy: A Case Study of Dissent in the Soviet Navy“, e più tardi nel libro “The Last Sentry” di Young e Nate Braden, su cui si basa questo racconto.
La tesi, depositata negli archivi della United States Naval Academy, viene letta da Tom Clancy, il quale vi si ispira per scrivere il libro “La grande fuga dell’Ottobre Rosso” e dal quale ne deriverà il noto film Caccia a Ottobre Rosso, diretto nel 1990 da John McTiernan.
Rispetto alla storia reale, il capitano Marko Ramius si rivolta contro il governo sovietico non per riportarlo sulla linea leninista, ma per vendicare l’uccisione della moglie. Il mezzo navale nella finzione non è una fregata antisottomarino ma il sottomarino Ottobre Rosso, il quale non viene dirottato verso l’Unione Sovietica ma verso le coste degli Stati Uniti d’America, in quanto Ramius intende consegnarlo agli statunitensi. Altre parti che non hanno attinenza con la realtà sono il personaggio del cuoco – agente del KGB e fedele al governo sovietico – intenzionato a far esplodere il sottomarino, con tutto l’equipaggio, per non farlo cadere in mani nemiche.
Le ultime parole di Valery Mikhaylovich Sablin
Sentiamo ora le ultime parole di Valery Mikhaylovich Sablin, intercettate in Svezia, rivolte ai suoi inseguitori:
“Parlo a coloro che portano il nostro passato rivoluzionario nel cuore, coloro che ragionano criticamente ma non cinicamente, sul presente ed il futuro del nostro popolo.
Nell’evento di un attacco militare contro il nostro paese, lo difenderemo lealmente, ma ora abbiamo un altro scopo, quello di far sentire la voce della verità”
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Leggi anche l’articolo della precedente puntata di Delenda Carthago cliccando qui.
Articolo di Roberto Tomaiuolo
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