Nei due articoli riportati da altri fonti, si evidenzia proprio quello emerso nella nostra diretta sulla Guerra dei Noli con il dott. Stefano Visintin sulle cause dell’aumento delle tariffe di spedizione marittima e sulle conseguenze che avrà sul rincaro delle merci e della materie prime, conseguenze che ricadranno anche sui nostri portafogli e sulle possibilità di una solida ripresa. Il comportamento di tali compagnie di navigazione, volto a diminuire l’offerta in un contesto di aumento di domanda, comportamento attuato per aumentare gli utili a fronte di un minore coinvolgimento logistico, è volto a stigmatizzare un comportamento quasi monopolistico che alla lunga penalizza l’Europa intera, non solo alcuni paesi o categorie. E’ oltremodo curioso che la Commissaria danese per la concorrenza blocchi di fatto l’acquisizione dell’ex STX da parte di Fincantieri, ma non fermi un monopolio di fatto, guidato appunto, tra le altre, dalla danese Maersk. A farne le spese sono anche porti triveneti come Trieste, Venezia o Monfalcone.
Con la pandemia un mare di soldi per i Signori dei Container
Articolo originale a questo link.
Traffici in calo ma profitti record (15 mld), mentre il resto della filiera logistica paga dazio al Covid e scrive una lettera a Bruxelles per fermare i big del mare.
Traffici a singhiozzo e collegamenti sospesi, viaggi annullati e ordini cancellati, container vuoti irreperibili nonostante picchi di domanda. In sintesi: l’anno nero delle catene di approvvigionamento interrotte da Covid, lockdown e blocchi della produzione. Ma non sempre i mali vengono per nuocere, a volte possono rivelarsi una manna. È il caso delle grandi compagnie di navigazione. Per loro, paradossalmente, è stata una annata d’oro, perché mai nella storia i big dei container avevano registrato così lauti guadagni, arrivando a chiudere il quarto trimestre del 2020 con nove miliardi di dollari netti di incasso. E l’anno appena iniziato non sarà da meno. A rivelarlo è una analisi di John McCown, fondatore di Blue Alpha Capital, fondo di investimento statunitense, che sulla base dei dati forniti dagli undici maggiori vettori marittimi ha calcolato i profitti messi in cassaforte dai colossi del mare. Gli utili netti complessivi nel quarto trimestre 2020 sono stati pari a 5,8 miliardi di dollari, ma si arriva a 9,1 miliardi se si tiene conto anche della performance annuale della seconda compagnia al mondo, la Msc, i cui risultati di esercizio sono stimati non essendo stati diffusi dal quartier generale elvetico. In totale, l’anno scorso gli operatori marittimi hanno guadagnato 10 miliardi netti, ma si arriva a quasi 16 se si aggiungono i conti (stimati) della compagnia svizzera.
Traffici in calo e irregolari ma guadagni in marcato aumento: può apparire a primo acchito un controsenso ma non lo è. Piuttosto è il frutto avvelenato dello strapotere dei grandi carrier dei contenitori, potenti come Stati e spesso partecipati, per quote, proprio dai Governi dei Paesi che rappresentano nel grande mercato delle catene di fornitura dove gli interessi da presidiare si fanno sempre più rilevanti. A detta di tutte le maggiori sigle rappresentative della catena logistica europea e di varie agenzie internazionali, dietro i mega profitti dei signori dei container non ci sono solo le conseguenze nefaste della pandemia ma anche e soprattutto alcune dinamiche distorsive del mercato, fino ad oggi sempre autorizzate dalle autorità regolatorie internazionali. Ora però le cose potrebbero cambiare ma prima occorre fare un piccolo passo indietro.
Con l’avvento della pandemia all’inizio del 2020 le catene di fornitura hanno subìto blocchi e ritardi che si sono tradotti in interruzioni nelle linee commerciali. Ordini cancellati, porti e interporti bloccati dal fermo delle attività lavorative per Covid, incertezza sui tempi per la ripresa delle attività economica. Quale miglior occasione per ricorrere a una pratica già in largo uso ma durante la pandemia portata all’eccesso dai vettori della navigazione: è il cosiddetto blank sailings, le cancellazioni delle partenze delle navi o di singole toccate. “I vettori hanno ridotto la capacità delle navi con un gran numero di blank sailings proprio all’inizio della pandemia”, spiega McCown. “Quando la diffusione della pandemia è stata evidente a tutti, gli operatori hanno intrapreso una azione immediata e aggressiva per ridurre la capacità delle navi, sopprimendo le partenze”.
Con quali effetti? Aver ridotto artificialmente la capacità delle navi ha avuto come esito (scontato o secondo alcuni addirittura ricercato) l’incremento esponenziale dei prezzi per noleggiare un singolo container. Detta meglio: per far fronte a una domanda di merce prevista in calo, le grandi compagnie si sono accordate sulla riduzione dell’offerta per garantirsi comunque rilevanti profitti nonostante i volumi più bassi di merce trasportata. Non solo: una volta ripresa improvvisamente la domanda globale, la presenza dei contenitori vuoti sulle sponde ’sbagliate” dei traffici non ha fatto altro che aggravare ulteriormente gli squilibri creati dal Covid. Per vedere graficamente gli effetti della pandemia sui costi di nolo di un contenitore, basta prendere come riferimento lo Shanghai Export Containerized Freight Index, un indice usato convenzionalmente per tenere sotto controllo i prezzi dei noli. Se a fine 2019 lo SCFI era sotto i 1000 punti, a dicembre 2020 era arrivato a superare i 2500 punti. In soldoni, vuol dire che un contenitore dall’Asia al Nord Europa può arrivare a costare fino a quattromila dollari (prezzo spot), dall’Asia alla East Coast Usa oltre i cinquemila dollari, mentre per la rotta transatlantica i costi rasentano i tremila euro.
Un trend in costante crescita nel secondo semestre 2020 che sembrava iniziare a ripiegare, seppur lentamente, solo all’inizio di quest’anno. Poi, però, nel Canale di Suez è transitata l’Ever Given, la portacontainer da 220mila tonnellate e carica di 18mila box che si è incagliata a fine marzo bloccando per una settimana una delle rotte commerciali più servite del globo. Il blackout sulla via d’acqua da cui passa il 12% dei traffici globali, il 30% delle portacontainer, il 10% del petrolio scambiato via mare, ancora deve dispiegare tutti i suoi effetti in termini di congestionamento dei porti di scarico. Ma sicuramente non servirà a invertire l’andamento dei prezzi, sempre più avvitati verso l’alto. Pochi giorni fa il porto di Rotterdam, la prima porta d’ingresso delle merci destinate ai mercati europei, ha diramato una nota per fare chiarezza per i suoi clienti, “vista la confusione su Suez”: “Poiché le navi in ritardo stanno arrivando in rapida successione a Rotterdam, ci saranno molte modifiche agli orari”, ha fatto sapere lo scalo che ha approntato un sito web per gestire i colli di bottiglia.
Peraltro l’Ever Given è stata sequestrata dalle autorità egiziane che chiedono quasi un miliardo di dollari di risarcimento. Una brutta rogna per la società di navigazione taiwanese Evergreen che ha noleggiato la meganave, che può tuttavia contare su utili 2020 mai registrati prima nella sua storia: 850 milioni di dollari nelle casse della quinta compagnia al mondo.
Destino simile per Hapag-Lloyd che ha annunciato un margine operativo lordo (Mol) di 2,7 miliardi di euro per il 2020, in aumento del 35% rispetto al 2019, nonostante complessivamente i volumi di trasporto siano diminuiti dell′1,6% rispetto al 2019 a 11,8 milioni di TEU. Le tariffe medie di trasporto invece hanno avuto un trend inverso, sono aumentate del 4%. Secondo un report di Dhl la danese Maersk (il più grande gruppo al mondo per portafoglio ordini) nel 2020 ha registrato un utile netto annuo vicino a tre miliardi di dollari, con un Mol che ha fatto un balzo del 50%, nonostante un calo della domanda di contenitori del 2%.
E c’è chi già guarda al futuro: Cosco Shipping ha spiegato che nel primo trimestre 2021 i suoi utili supereranno i 2 miliardi di dollari, e anche altri carrier europei si stanno preparando a rivedere al rialzo l’outlook 2021. Secondo Rolf Habben Jansen, ceo della sesta compagnia mondiale, la tedesca Hapag-Lloyd, i prezzi di nolo dei container potrebbero restare elevati per tutto il secondo trimestre e anche nel terzo trimestre del 2021. Mentre la società di consulenza inglese Drewry si aspetta che il caro noli garantirà utili record ai big dei contenitori fino al 2022. D’altro canto l’indice composito del trasporto mondiale container di Drewry rileva come il prezzo per un box da 40 piedi sia a 4,910 dollari all′8 aprile.
Risultati da record ottenuti grazie alla riduzione “artificiale” della capacità delle navi da parte dei grandi operatori che ha avuto un impatto diretto sulle oscillazioni del prezzo dei contenitori, e di riflesso sulla merce trasportata. I “giganti del mare” sono riusciti in altre parole a trarre vantaggio dalla loro posizione dominante: “Il consolidamento del settore che si è verificato sotto forma di ‘alleanze’ ha reso questo compito logisticamente più facile da perfezionare”, ha sintetizzato McCown.
Le grandi compagnie sono infatti riunite in “alleanze” che funzionano in modo simile ai cartelli o trust. Sono tre: 2M, Ocean e The Alliance, e rappresentano circa l′80% del traffico container mondiale. Secondo i dati della società di consulenza Mds Transmodal, quasi il 90% della capacità mondiale di navi portacontainer è in mano alle prime dieci compagnie al mondo. Una concentrazione economica notevole che sta avendo conseguenze anche su tutta la filiera, con l’ingresso dei grandi operatori anche nel mercato della logistica inland che rischia di spazzare via i piccoli e medi attori del mercato, la cosiddetta integrazione “verticale”.
Lo strapotere dei signori dei container sta sollevando sempre più dubbi tra le organizzazioni internazionali, tra cui in prima linea l’Ocse che da anni denuncia gli effetti nefasti dei cosiddetti “sussidi ombra” a danno dei consumatori. Vengono definiti shadow subsidiesgli aiuti non diretti derivanti da un contesto regolamentare particolarmente favorevole, come quello in vigore per le “alleanze”. Seppur non evidenti all’occhio perché non c’è una transazione, si tratta comunque di trasferimenti dai consumatori ai produttori “che derivano dai vincoli alla concorrenza contenuti nella regolamentazione del trasporto marittimo”. L’assunto da cui parte l’Ocse è che la presenza di questi cartelli alteri profondamente la concorrenza nel trasporto mercantile, creando forti disparità di condizioni tra gli operatori nel mercato e quelli esclusi, distorcendo l’ambiente competitivo.
L’Ocse però non è la sola a denunciare i rischi derivanti da questi “consorzi” tra vettori. Negli Stati Uniti da diversi mesi è in corso un’indagine della Commissione Federale Marittima sugli indebiti vantaggi del colossi del mare a spese di tutti gli altri anelli della filiera. La scorsa settimana l’agenzia indipendente Usa si è riunita a porte chiuse sotto la guida del nuovo presidente appena nominato da Joe Biden, Daniel Maffei: “Mentre la maggior parte dei partecipanti alla catena di approvvigionamento sta facendo del suo meglio per far fronte al boom delle importazioni senza precedenti, ci sono segnalazioni di linee di navi portacontainer e operatori terminalisti che approfittano ingiustamente della situazione o negano il servizio agli esportatori in un modo che potrebbe violare lo Shipping Act. Dobbiamo andare a fondo di questa situazione il prima possibile ed è per questo che l’indagine è fondamentale”, ha detto Maffei.
E l’Europa cosa fa? Per ora resta a guardare, nonostante gli uffici dell’Antitrust guidati dalla danese Margrethe Vestager siano già a conoscenza, da tempo, delle storture legate alle alleanze. Di fronte all’inazione di Bruxelles, le maggiori associazioni rappresentative della filiera a livello europeo hanno scritto alla Commissione per chiederle formalmente di avviare una indagine sulla falsariga di quella americana (vedi documento in calce). La lettera inviata martedì 13 aprile e che l’HuffPost ha letto è firmata dalle principali sigle di spedizionieri internazionali (Fiata) ed europei (Clecat), terminalisti (Feport), operatori portuali, rimorchiatori (ETA). Soprattutto, per la prima volta, a sottoscrivere l’iniziativa del settore sono anche i proprietari delle merci containerizzate, quelli che in gergo vengono definiti i “caricatori”, rappresentati a livello mondiale dal Global Shippers Forum. In altre parole, l’intero comparto che sta pagando il caro noli dei contenitori seguito alle pratiche ritenute sleali delle grandi compagnie.
Uno dei motivi del caos logistico e dei ritardi è che i vettori “contrariamente alla loro narrativa, negli ultimi mesi sono stati estremamente selettivi nell’allocazione della loro capacità, riportando in Asia i container vuoti per poter aumentare le tariffe di trasporto nelle importazioni, creando disfunzioni e impedendo agli esportatori europei di rifornire i propri mercati”, si legge nella missiva. Un comportamento che forse avrebbe potuto trovare una giustificazione nei primi sei mesi del 2020 quando i traffici sono stati travolti dal Covid, ma che poi è proseguito nonostante tutto: “I vettori hanno continuato ad annullare molte prenotazioni nella seconda parte del 2020, che ha visto un aumento della domanda”. Bisogna che i vettori “forniscano una motivazione, ma l’affermazione per cui non ci sarebbero state alternative dovrà essere seriamente indagata”.
Non è la prima volta che gli attori logistici scrivono con toni aspri agli uffici della Dg Comp di Vestager. È accaduto anche un anno fa quando la Commissione è stata chiamata a prorogare un regime regolatorio particolarmente favorevole per le compagnie di navigazione che di fatto ha legittimato l’esistenza sui mercati europei dei cosiddetti “cartelli” tra armatori. Si tratta della Consortia Block Exemption Regulation (CBer) che consente alle compagnie portacontainer con quota di mercato combinata inferiore al 30% di condividere i servizi di trasporto tramite specifici accordi commerciali, “gestendo congiuntamente la capacità a loro piacimento e senza condizioni nel tempo”. A marzo scorso c’era da prorogare per altri quattro anni l’esenzione arrivata a scadenza: nonostante tutte le associazioni (esclusi i vettori, cioè coloro che traggono diretto giovamento dall’alleanza di cui fanno parte) avessero chiesto di non rinnovare la CBer, Bruxelles non ne ha voluto sapere e ha dato il suo via libera agli oligopoli legalizzati dei big dei container fino al 2024.
Ma la pandemia non è stato un buon affare per tutti gli attori della logistica né in Europa né tantomeno in Italia. Secondo un rapporto dell’Esma nell’anno del Covid il numero degli scali delle navi nei porti europei è diminuito del 10,2% rispetto all’anno prima. Dati ancora più cupi quelli messi nero su bianco nell’almanacco 2021 della logistica stilato da Confetra, la confederazione delle aziende di trasporto italiane. I numeri sull’anno appena finito non sono affatto incoraggianti: -9,7% di export, -12,8% di importazioni, per un totale di circa 60 milioni di tonnellate di merci movimentate in meno. Il primo porto d’Italia, Genova, ha visto calare del 10% il traffico container, del 30% le rinfuse liquide, del 25% quelle solide, del 10% il traffico di veicoli su ruote. Il trend, salvo rare eccezione, è comune un po’ a tutti gli scali italiani. E non va meglio per il traffico merci via aerea: Malpensa ha segnato un -6,2%, mentre Fiumicino ha registrato un crollo verticale del 62%, secondo i dati raccolti da Confetra. Male anche gli interporti che hanno visto calare del 4,8% la quantità di treni movimentati. Per tutti i soggetti attivi nel mondo dei trasporti e della logistica quello del Covid è stato un anno nero. Per tutti, tranne che per i big dei container.
Riportiamo da MRTV la puntata di GeD n. 39
Ged N.39 GeD speciale: Noli, containers merci: siamo già in guerra economica, e ci rimette il nostro portafogli. Con Stefano Visintin. Conducono Roberto Hechich ed Emilio Ciardiello. Il prezzo dei noli e dei containers aumenta sempre più, le grandi società diminuiscono l’offerta per aumentare la domanda, le materie prime scarseggiano i prezzi delle merci aumentano, e l’Europa rischia di pagare il prezzo più elevato. Dove andremo a finire?
Articolo di Roberto Hechich